Arrivano i Nostri? No .. Arrivano i Mostri!

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Arrivano i Nostri? No .. Arrivano i Mostri! [Difesa Servizi Spa: da l’espresso]
Date:
Sun, 27 Dec 2009 22:58:19 GMT
From:
L
Organization:
[Infostrada]
Newsgroups:
it.cultura.filosofia, it.politica, it.economia

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/forze-armate-e-privatizzate/2117172//0

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cit on
++

Forze armate e privatizzate
di Gianluca Di Feo

Tutta la gestione della Difesa passa in mano a una società per azioni.
Che spenderà oltre 3 miliardi l’anno agli ordini di La Russa. Così un
ministero smette di essere pubblico

Le forze armate italiane smettono di essere gestite dallo Stato e
diventano una società per azioni. Uno scherzo? Un golpe? No: è una
legge, che diventerà esecutiva nel giro di poche settimane. La
rivoluzione è nascosta tra i cavilli della Finanziaria, che marcia
veloce a colpi di fiducia soffocando qualunque dibattito parlamentare.
Così, in un assordante silenzio, tutte le spese della Difesa
diventeranno un affare privato, nelle mani di un consiglio
d’amministrazione e di dirigenti scelti soltanto dal ministro in carica,
senza controllo del Parlamento, senza trasparenza. La privatizzazione di
un intero ministero passa inosservata mentre introduce un principio
senza precedenti. Che pochi parlamentari dell’opposizione leggono
chiaramente come la prova generale di un disegno molto più ampio: lo
smantellamento dello Stato. “Ora si comincia dalla Difesa, poi si
potranno applicare le stesse regole alla Sanità, all’Istruzione, alla
Giustizia: non saranno più amministrazione pubblica, ma società
d’affari”, chiosa il senatore pd Gianpiero Scanu.

Stiamo parlando di Difesa Servizi Spa, una creatura fortissimamente
voluta da Ignazio La Russa e dal sottosegretario Guido Crosetto: una
società per azioni, con le quote interamente in mano al ministero e otto
consiglieri d’amministrazione scelti dal ministro, che avrà anche
l’ultima parola sulla nomina dei dirigenti. Questa holding potrà
spendere ogni anno tra i 3 e i 5 miliardi di euro senza rispondere al
Parlamento o ad organismi neutrali. In più si metterà nel portafogli un
patrimonio di immobili ‘da valorizzare’ pari a 4 miliardi. Sono cifre
imponenti, un fatturato da multinazionale che passa di colpo dalle
regole della pubblica amministrazione a quelle del mondo privato. Ma
questa Spa avrà altre prerogative abbastanza singolari. Ed
elettrizzanti. Potrà costruire centrali energetiche d’ogni tipo
sfuggendo alle autorizzazioni degli enti locali: dal nucleare ai
termovalorizzatori, nelle basi e nelle caserme privatizzate sarà
possibile piazzare di tutto. Bruciare spazzatura o installare reattori
atomici? Signorsì! Segreto militare e interesse economico si sposeranno,
cancellando ogni parere delle comunità e ogni ruolo degli enti locali.
Comuni, province e regioni resteranno fuori dai reticolati con la
scritta ‘zona militare’, utilizzati in futuro per difendere ricchi
business. Infine, la Spa si occuperà di ‘sponsorizzazioni’. Altro
termine vago. Si useranno caccia, incrociatori e carri armati per fare
pubblicità? Qualunque ditta è pronta a investire per comparire sulle ali
delle Frecce Tricolori, che finora hanno solo propagandato l’immagine
della Nazione. Ma ci saranno consigli per gli acquisti sulle fiancate
della nuova portaerei Cavour o sugli stendardi dei reparti che sfilano
il 2 giugno in diretta tv?

Lo scippo. Quali saranno i reali poteri della Spa non è chiaro: le
regole verranno stabilite da un decreto di La Russa. Perché dopo oltre
un anno di dibattiti, il parto è avvenuto con un raid notturno che ha
inserito cinque articoletti nella Finanziaria. “In diciotto mesi la
maggioranza non ha mai voluto confrontarsi. Noi abbiamo tentato il
dialogo fino all’ultimo, loro hanno fatto un blitz per imporre la
riforma”, spiega Rosa Villecco Calipari, capogruppo Pd in commissione
Difesa: “I tagli alla Difesa sono un dato oggettivo, dovevano essere la
premessa per cercare punti di convergenza. La tutela dello Stato non può
avere differenze politiche, invece la destra ha tenuto una posizione di
scontro fino a questo scippo inserito nella Finanziaria”.

Non si capisce nemmeno quanti soldi verranno manovrati dalla holding.
Difesa Servizi gestirà tutte le forniture tranne gli armamenti, che
rimarranno nelle competenze degli Stati maggiori. Ma cosa si intende per
armamenti? Di sicuro cannoni, missili, caccia e incrociatori. E gli
elicotteri? E i camion? E i radar e i sistemi elettronici? Quest’ultima
voce ormai rappresenta la fetta più consistente dei bilanci, perché
anche il singolo paracadutista si porta addosso una serie di congegni
costosissimi. La definizione di questo confine permetterà anche di
capire se questa privatizzazione può configurare un futuro ancora più
inquietante: una sorta di duopolio bellico. Finmeccanica, holding a
controllo statale che ingaggia legioni di ex generali, oggi vende circa
il 60 per cento dei sistemi delle forze armate. E a comprarli sarà
un’altra spa: due entità alimentate con soldi pubblici che fanno affari
privati. Con burattinai politici che ne scelgono gli amministratori.
All’orizzonte sembra incarnarsi un mostro a due teste che resuscita gli
slogan degli anni Settanta. Ricordate? ‘L’imperialismo del complesso
industriale-militare’. Un fantasma che improvvisamente si materializza
nell’opera del governo Berlusconi.

Gli immobili. Questa Finanziaria in realtà realizza un altro dei sogni
rivoluzionari: l’assalto alle caserme. È una corsa agli immobili della
Difesa per fare cassa, sotto la protezione di una cortina fumogena. La
vera battaglia è quella per espugnare un patrimonio sterminato: edifici
che valgono oro nel centro di Roma, Milano, Bologna, Firenze, Torino,
Venezia. Un’altra catena di fortezze, poligoni, torri e isole in
località di grande fascino che va dalle Alpi alla Sicilia. Da dieci anni
si cerca di trovare acquirenti, con scarsi risultati: dei 345 beni ex
militari messi all’asta dal governo Prodi, il Demanio è riuscito a
piazzarne solo otto. Adesso, dopo un lungo braccio di ferro tra La Russa
e Tremonti, si sta per scatenare l’attacco finale. Con una sola
certezza: i militari verranno sconfitti, mentre sono molti a pensare che
a vincere sarà solo la speculazione. All’inizio Difesa Servizi doveva
occuparsi anche della vendita degli edifici: la nascente spa a giugno si
è presentata alla Borsa immobiliare di Cannes con tanto di brochure per
magnificare il suo catalogo. Qualche perla? L’isola di Palmaria, di
fronte a Portovenere, gioiello del Golfo dei Poeti affacciato sulle
scogliere delle Cinque Terre. L’arsenale di Venezia, con ampi volumi e
architetture suggestive, e un castello circondato dalla Laguna. La
roccaforte nell’angolo più bello di Siracusa, pronta a diventare albergo
e yacht club. La Macao, un complesso gigantesco con tanto di eliporto
nel cuore di Roma, palazzi a Prati e ai piedi dei Parioli. Aree senza
prezzo in via Monti incastonate nel centro di Milano. Ma il dicastero di
Tremonti ha puntato i piedi: proprietà e vendita restano al Tesoro, che
le affiderà a società esterne. Con un doppio benefit, secondo le
valutazioni del Pd, per renderle ancora più appetibili. Chi compra,
potrà aumentare la cubatura di un terzo. E avrà bisogno solo del
permesso del Comune: Provincia e Regione vengono tagliate fuori, aprendo
la strada a progetti lampo. Questo banchetto prevede che metà
dell’incasso vada allo Stato; ai municipi andrà dal 20 al 30 per cento;
il resto ai militari. Difesa Servizi però intanto può ‘valorizzare’ i
beni. Come? Non viene precisato. In attesa della cessione, potrà forse
affittarli o darli in concessione come alberghi, uffici o parcheggi.

Intanto però gli appetiti si stanno scatenando. E fette della torta
finiscono in pasto alle amministrazioni amiche. Con giochi di finanza
creativa. A Gianni Alemanno per Roma Capitale sono state concesse
caserme per oltre mezzo miliardo di euro. O meglio, il loro valore cash:
il Tesoro anticiperà i quattrini, da recuperare con la vendita degli
scrigni di viale Angelico, Castro Pretorio, via Guido Reni e di un paio
di fortezze ottocentesche ormai inglobate dalla metropoli. Qualcosa di
simile potrebbe essere regalato a Letizia Moratti, per lenire il vuoto
nelle casse dell’Expo: un bel pacco dono di camerate e magazzini con
vista sul Duomo. “Così le logiche diventano altre: non c’è più tutela
del bene pubblico ma l’esternalizzare fondi e beni pubblici attraverso
norme privatistiche”, dichiara Rosa Calipari Villecco, sottolineando
l’assenza di magistrati della Corte dei conti o altre figure di garanzia
nella nuova spa. Un anno fa i militari avevano manifestato insofferenza
per questa disfatta edizilia. Il capo di Stato maggiore Vincenzo
Camporini aveva fatto presente che era stato ceduto un tesoro da un
miliardo e mezzo di euro senza “adeguato contraccambio”. Oggi, come
spiega l’onorevole Calipari, “non si sa nemmeno tra quanti anni le forze
armate riceveranno i profitti delle vendite”. Eppure i generali
tacciono. Una volta ai soldati veniva insegnato ‘Credere, obbedire,
combattere’; adesso il motto della Difesa privatizzata è ‘economicità,
efficienza, produttività’. La regola dell’obbedienza è rimasta però
salda. E con i tagli al bilancio imposti da Tremonti – in un trennio
oltre 2,5 miliardi in meno – anche gli spiccioli della nuova holding
diventano vitali per tirare avanti e garantire l’efficienza di missioni
ad alto rischio, Afghanistan in testa.

Business con logo. Di sicuro, Difesa Servizi Spa sfrutterà le royalties
sui marchi delle forze armate. Un business ghiotto. Il brand di maggiore
successo è quello dell’Aeronautica. Felpe, t-shirt, giubbotti e persino
caschi con il simbolo delle Frecce Tricolori spopolano con un mercato
che non conosce distinzioni d’età e di orientamento politico. Anche
l’Esercito si è mosso sulla scia: sono stati aperti persino negozi
monomarca, con zaini e tute che sfoggiano i simboli dei corpi d’élite.
Finora gli Stati maggiori barattavano l’uso degli stemmi con
compensazioni in servizi: restauri di caserme, costruzione di palestre.
D’ora in poi, invece, i loghi saranno venduti a vantaggio della Spa.
Questo è l’unico punto chiaro della legge, che introduce sanzioni per le
mimetiche senza licenza commerciale: anche 5 mila euro di multa. “La
questione delle sponsorizzazioni è una foglia di fico per coprire altre
vergogne. Tanto più che alla difesa vanno solo briciole”, taglia corto
il senatore Scanu. E trasformare il prestigio delle bandiere in denaro,
però, non richiedeva la privatizzazione. La Marina ha appena pubblicato
sui giornali un bando per mettere all’asta lo sfruttamento della sua
insegna: si parte da 150 mila euro l’anno. Con molta trasparenza e senza
foraggiare il cda scelto dal ministro di turno.

(15 dicembre 2009)

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cit off
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Saluti,

L


IDV Ciampino Blog

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